 
Spatium urbis et orbis idem. Confini instabili e cosmologie politiche nella storia romana
 
Agli occhi degli auguri del popolo romano il mondo si presentava come una struttura a cerchi concentrici: il primo era costituito dalle mura, sorte lungo il tracciato del solco primigenio; a breve distanza dalla linea delle mura, i cippi del pomerio costituivano il limite degli “auspici urbani”; al di là del pomerio, e ben oltre il circuito murario, si estendeva l’ager Romanus; oltre questa frontiera si stendevano i territori degli altri popoli, che si succedevano, l’uno dopo l’altro, fino ai confini del mondo, tutti potenzialmente aperti alla conquista romana. 
Le norme relative all’allargamento del pomerio sembrano infatti delineare un rapporto “antagonista” tra Urbs e orbis, in cui il confine, più che un limite, appare come un dispositivo politico e giuridico destinato a essere, di volta in volta, superato, ridefinito, riassorbito. La tradizione secondo cui Romolo avrebbe scelto di non circoscrivere e, dunque, lasciare aperto il territorio della città (Plut. Num. 16, 2; QR 15) era perfettamente in linea con questo genere di autorappresentazioni, poiché non si limitava a offrire un fondamento mitico all’idea, culminata in età augustea, di un imperium sine fine, ma giustificava teleologicamente le espansioni e le guerre del più recente passato, comprese naturalmente quelle di Augusto. 
Se i nemici di Roma potevano ricondurre le sue mirabolanti conquiste al carattere ferino e lupesco dei suoi fondatori, agli occhi dei Romani esse dovevano sembrare, invece, perfettamente coerenti con il carattere originario della città romulea, che ignorando i confini non poneva limiti al suo stesso accrescimento.
L’evento è finanziato dal Progetto di Eccellenza del Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento