
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Oltre a essere una forma di consolidamento identitario e geopolitico, il patrimonio culturale e la cultura materiale possono operare anche una critica, sospensione o indebolimento di fattori determinanti come il riconoscimento dei confini lineari, della sovranità nazionale, dell’appartenenza geoculturale di un luogo o delle persone. Spesso, tale compito è svolto con lo scopo di offrire una contro-narrazione, altrettanto identitaria, che metta in crisi la narrazione dominante (di un oppressore coloniale, di un gruppo egemone, ecc.). In altri casi – altrettanto interessanti ma più inesplorati – sono la stessa legittimità e il significato di una distinzione identitaria fondata sui confini a essere resi instabili e porosi. Se l’arte offre numerosi casi, dai santuari federali dell’antica Grecia al Monumento a Dante di Trento, anche gli oggetti e le persone rivestono un ruolo cruciale: secondo Bruno Latour, infatti, oggetti e persone intessono un legame in cui i primi vengono investiti di un’agency e le seconde ricevono in cambio una fondamentale capacità di connessione materiale e tecnica. In tal senso, dinamiche di instabilità e sospensione analoghe si riscontrano nei Grenzgänger, individui che attraversavano a vario titolo le frontiere in entrambi i sensi, dando luogo a fenomeni di contaminazione e interconnessione. Se, da un lato, la gestione dei confini era finalizzata al controllo degli approvvigionamenti e della viabilità o alla sistemazione di controversie attraverso il ricorso ai saperi locali, dall’altro, figure come i pastori, gli atleti, i vagabondi o i mercanti attuavano pratiche transliminali produttive di sistemi socio-ecologici e culturali che trascendevano le frontiere politiche.